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Club Taurino Italiano

Padilla e la sua Opera Taurina

 

18 ottobre 2022

 

 

L’arte del toreo è ancora uno dei pochi esempi di eroicità nel mondo moderno. L’eroicità nel passato era spesso legata a nobili scopi: una patria, un dovere, la giustizia, l’onore, l’amicizia, la bellezza o un amore.

Attualmente il torero è rimasto l'unico eroe ancora disposto a perdere tutto, la vita, in cambio di ben poco: la ricompensa, la gloria, l’onore. Ma a cambio anche della possibilità di generare l’emozione attraverso la bellezza ed il coraggio. L’Arte ed il Valor.

L’arte (da ars e techné, ovvero maestria e tecnica) è per definizione necessaria per arrivare al coraggio, e non va confusa con la temerarietà irrazionale e suicida

Spesso nel mondo taurino attuale si rischia di polarizzare manicheisticamente la dicotomia Arte-Valor, quando in realtà sono quasi sempre indissolubili. Né il torero con Valor è privo di Arte, né il torero de Arte è privo di Valor.

 

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Juan José Padilla è uno dei toreri che forse più di tutti nella storia recente del toreo ha fatto del Valor, ovvero del coraggio, la sua bandiera, del sacrificio il suo stemma e della sopportazione del dolore la sua medicina. Senza dimenticare la tecnica, la maestria: ovvero l’arte.

Innumerevoli sono state le prove di coraggio del torero di Jerez, come testimoniano ben 39 cornate, quasi un centinaio di corride di Miura, 60 corride di Victorino e centinaia di altre di ogni tipo di encaste e durezza (come Pablo Romero, Cebada Gago, Palha o Samuel Flores). Numerose le encerronas, la più famosa quella con 6 miuras a Bilbao.

Fece la sua prima apparizione in pubblico con 12 anni e iniziò la sua carriera professionale a soli 16, con il soprannome di Panaderito (ovvero panettierino) e nel 1994 prese l’alternativa con 21 anni in un cartel minore ad Algeciras con tori di Benitez Cubero. Ma lungo e duro era il cammino ed infiniti i sacrifici da superare (pensiamo che nelle prime stagioni si spostava tra una feria e l’altra in camper, anziché stare in albergo come quasi tutti i toreri).

 

 

Era già amato dal pubblico sin dagli inizi della sua carriera, dove per esempio trionfò nel 1999 a Pamplona con una grandiosa faena a Bombito di Miura. E' sempre stato fisso in numerose ferias francesi (dall’immancabile miurada di Beziers, ad Arles, Ceret, Dax o Vic) aveva trionfato da Sevilla a Bilbao, passando per Madrid, senza dimenticare la sua Jerez dove il pubblico andava in visibilio fino alle lacrime.

Inoltre Padilla si era contraddistinto per la ricerca di oggetti e modi antichi della lidia. Dalla montera di fine XIX secolo, all'uso della muleta blanca, a suertes ormai in desuso, come i pases iniziali dati da una sedia (precedendo quelli che poi fece e rese famosi Morante de la Puebla) o il desiderio di riprodurre la veronica belmontina (su suggerimento dell'amico e conterraneo Rafael de Paula). Insomma un torero sempre in ricerca anche artisticamente.

 

 

Ma soprattutto molti di noi saranno rimasti impressionati vedendo le sue mirabolanti e spesso sprezzanti maniere di affrontare i tori, sempre vicinissimo alle corna, sempre al limite della cornata, sempre esaltando il pericolo del toro. Grazie a queste sua capacità tantissime sono state le persone che si sono avvicinate al mondo della corrida ,olte delle quali son poi diventate aficionados (cosa che già di per sé meriterebbe un monumento). E costante è stata la sua capacità di comunicare col pubblico. Piacesse o no il suo stile, non ha mai lasciato indifferente nessuno.

 

 

Ma la prova più grande Juan José Padilla l’ha data dopo il drammatico incidente del 2011 a Zaragoza. Un 7 di ottobre stava per fare il suo ultimo “paseillo” della stagione quando scherzando diceva ad un altro torero “Che strano: ho solo cornate nel corpo, ma nessuna che sia evidente in viso”.

Non sapeva che però ad aspettarlo c’era un toro di Ana Romero che lo prese violentemente durante un par de banderillas causandogli la perdita dell’occhio sinistro. Si susseguirono innumerevoli operazioni all’occhio, all’orecchio e ad altre parti del corpo in un calvario dove sembrava lottasse se non con la morte, quantomeno con l’immobilità permanente. Suo fratello, banderillero, visto quell’incidente decise poco dopo di smettere e di ritirarsi dal toreo.

 

 

Invece in quei momenti Padilla ci sperava e pregava di tornare ancora una volta in un’arena. Almeno una volta. Lo chiedeva soprattutto alla Virgen del Desconsuelo della sua Hermandad de los Judios de San Mateo di Jerez. E a dicembre arrivavano notizie di miglioramento e Padilla allora cominciava a camminare, poi a fare pesi, poi a correre…poi ad allenarsi di nuovo coi tori.

Perché il 4 marzo 2012, ovvero appena cinque mesi dopo il drammatico incidente, resuscitava il torero tra l’incredulità di tutto il mondo taurino.

Se qualcuno non credeva ai miracoli, almeno quelli del mondo taurino, quel giorno di marzo si è ricreduto. Per chi l’ha vissuta fu una delle tarde più emozionanti di sempre. Con tutta l'attenzione mediatiica della Spagna intera: Olivenza era diventato il centro di tutto l'universo taurino. Il torero emblema del coraggio, che qualche mese prima sembrava sconfitto per sempre, risorgeva come nulla fosse e ripartiva per una nuova fase della sua vita.

 

 

Questa seconda tappa della sua carriera, con facoltà fisiche ridotte, fu diversa dalla prima perché affrontava tori sulla carta più semplici. Ma attenzione li affrontava con tutte le figuras del momento (Ponce, Juli, Manzanares, Morante, Talavante, José Tomàs) che attirano il pubblico più raffinato (e spesso non a lui favorevole) ed in un tutte le piazze dell’universo taurino. Senza fermarsi, senza giustificarsi dietro a problemi fisici.

Anzi Padilla ha continuato ad essere fedele al Padilla di sempre: un torero “totale” di massima entrega con capote, banderillas, muleta. E soprattutto con la spada. Tanto che anche nella seconda tappa della sua carriera ha lasciato stoccate da manuale, alcune premiate come la migliore della feria: per esempio a Sevilla nel 2014. Piazza dove poi aprì trionfalmente l’agognata ed esclusiva Puerta del Principe nel 2016: il meritato e giusto culmine della sua carriera professionale.

E così raggiunse nel 2018 l’ultima stagione della sua carriera, con 24 anni di alternativa e al limite delle proprie energie e capacità fisiche (poi dirà che negli ultimi tempi aveva il senso dell’equilibrio molto limitato per fare quello che doveva fare a causa dei problemi all’occhio e all’udito).

 

 

E nell’ottobre del 2018 arrivò l’ultima sua corrida in Spagna, proprio a Zaragoza, dove salutò commosso tutto il toreo. Venne portato in trionfo dai suoi compagni di quell’ultima corrida (Manzanares e Talavante) ed entrò direttamente nella leggenda.

Perché di leggenda parliamo nel caso di Juan José Padilla e non solo per il grave e tristemente famoso incidente, che tanto ha ricordato quello di Desperdicios (altro torero leggendario del XIX Secolo). Ma per la sua gloriosa stagione di specialista delle corride “dure”. Per la sua infinita voglia di tornare ad essere torero proprio quando tutto sembrava perduto. Per esserci riuscito, pur in condizioni fisiche precarie. Per essere diventato vero idolo e vero eroe di ogni arena. Eroe del pueblo di Spagna, di Francia, del Messico, del Perù, della Colombia e possiamo anche aggiungere dell’Italia che ama l’Arte del Toreo.

Una epopea leggendaria.

Una vera Opera Taurina.

Nei prossimi giorni in Italia il Club Taurino Italiano avrà l’onore di consegnare a Juan Josè Padilla il meritatissimo premio “Opera Taurina” come riconoscimento di tutta una carriera dedicata al toreo e al toro bravo!

Grazie Maestro!

 

El Conde de Moncalvo

 

 

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